Di: A.G.
Illustrazione dello studio per contrastare prevenire le malattie cerebrali realizzato a Pisa dal Neurofisiologo Prof. Lamberto Maffei, che ha dato significativi miglioramenti nell’80% dei soggetti trattati.
La Fondazione IGEA onlus ripropone il progetto a Roma con l’Università ed ha avviato una campagna di esami per il controllo dello stato cognitivo telefono 0688814529.
La medicina negli ultimi decenni ha fatto formidabili progressi e ci ha resi più longevi. Oggi si guarisce da malattie che 15 -20 anni fa erano considerate incurabili. Purtroppo non sono stati fatti altrettanti progressi nel campo degli studi sul cervello, così si rischia nei prossimi decenni di andare verso una popolazione di longevi, molti dei quali affetti da deficit cognitivi.
Spesso le patologie cerebrali come la demenza e l’Alzheimer vengono tenute segrete in famiglia. Questo è un errore gravissimo, le malattie mentali sono trattate come se fossero qualcosa di cui vergognarsi e si ha l’idea che l’unica cosa da fare è chiedere aiuto alle associazioni di volontariato e alle iniziative di beneficenza. Siamo in una situazione analoga a quella che si viveva venti anni fa nei confronti dei malati di cancro. Oggi per i tumori ci sono molte cure ed anche elevate probabilità di guarigione, specialmente se la patologia è presa per tempo, attraverso la prevenzione e la diagnosi precoce.
Da qualche anno anche per le patologie cerebrali c’è la possibilità di prevenzione e di diagnosi precoce, che consente di individuare i soggetti a rischio con quattro o cinque anni di anticipo. In molti casi si può intervenire per contenere il danno e ritardare la malattia.
L’Alzheimer è una patologia silente che inizia 15 – 20 anni prima che appaiano i sintomi, chi è malato non lo sa, la malattia negli anni distrugge silenziosamente miliardi di neuroni e sinapsi. In cervello compensa con i neuroni superstiti ma la malattia continua fino a quando il corredo neuronale è compromesso, solo allora arrivano i sintomi ma a quel punto non c’è più nulla da fare.
Purtroppo la medicina non ha ancora individuato una cura per chi è già nella malattia conclamata, e proprio per questo è molto importante la prevenzione attraverso controlli medici, corretti stili di vita, facendo esercizio fisico, mantenendo relazioni con altre persone, svolgendo attività che tengono la mente impegnata, seguendo una corretta alimentazione, evitando l’abuso di cibo, di alcol, il fumo e le droghe.
I MAGGIORI FATTORI DI RISCHIO PER LA DEMENZA DI ALZHEIMER
Fumo, diabete, obesità, stili di vita errati, invecchiamento: ecco i principali fattori di rischio per questa patologia.
Quando il cervello invecchia va fatto controllare come ogni altro organo, esattamente come siamo abituati a fare andando dal cardiologo, dall’oculista o dall’ortopedico.
COME CAMBIA IL CERVELLO NEGLI ANNI
Dobbiamo considerare che il cervello è un organo come tutti gli altri, quando invecchia perde tono e funzionalità e a volte si ammala.
Uno dei metodi per ritardare il decadimento cognitivo è fare esercizio, allenare il cervello, proprio come si fa andando in palestra a fare ginnastica. Con la ginnastica i nostri muscoli si mantengono tonici e attivi, restano funzionali più a lungo e si ritarda il decadimento. La stessa cosa accade per il cervello.
L’allenamento del cervello, Train the Brain, è stato studiato e realizzato con successo dal neurofisiologo Prof. Lamberto Maffei, Presidente dell’Accademia dei Lincei, con l’Istituto di Neuroscienze e l’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche insieme con l’Università di Pisa.
Il protocollo, realizzato per la prevenzione e il trattamento di forme neurodegenerative in pazienti con lieve deficit cognitivo, in quattro anni di sperimentazione ha dato risultati positivi nell’80% dei casi trattati e viene ripetuto a Roma dalla Fondazione IGEA onlus e dall’Università.
L’applicazione del progetto rappresenta una grande speranza per il futuro dell’Umanità, sia perché ritardando la patologia consente di prolungare nei soggetti a rischio una vita attiva, dignitosa ed autosufficiente, sia perché può alleggerire l’enorme crescente peso sociale, sanitario ed economico delle malattie cerebrali degenerative. Tra queste l’Alzheimer, che colpisce oggi 46,8 milioni di persone al mondo, 1 milione in Italia. Si prevede che i malati raddoppieranno nei prossimi 20 anni e ogni anno si registrano 7,7 milioni di nuovi casi, uno ogni tre secondi.
Le donne sono doppiamente colpite dalla diffusione di queste patologie, sia perché si ammalano più frequentemente degli uomini, sia perché su di loro ricade spesso il peso dell’assistenza ai familiari che si ammalano.
Il maggior fattore di rischio associato all’insorgenza delle demenze è l’età.
L’Italia è particolarmente interessata, avendo una delle popolazioni più vecchie al mondo assieme con il Giappone e la Corea.
Il costo di un singolo malato supera i 100 mila euro l’anno tra costi diretti (farmaci, analisi, risonanze, ricoveri e assistenza) e indiretti (familiari e malati costretti a lasciare il lavoro). Essendo a tutt’oggi ancora priva di trattamenti terapeutici e farmacologici efficaci, si capisce perché questa patologia sia in testa all’agenda politica, sanitaria e scientifica internazionale, al punto che i maggiori paesi del mondo hanno organizzato a Londra nel 2013 il G8 delle demenze. In tale occasione gli esperti hanno sottolineata la necessità di trovare strategie efficaci per prevenirne e contenerne il decorso, raccomandando lo svolgimento di attività e ricerche per anticipare la patologia, individuando i soggetti a rischio prima che il corredo neuronale sia compromesso. È proprio questo lo scopo di Train the Brain.
La demenza di Alzheimer è una patologia che inizia 15 – 20 anni prima che appaiano i sintomi, negli anni distrugge silenziosamente miliardi di neuroni con la diagnosi precoce si può intervenire per tempo.
I soggetti a rischio, con lievi deficit cognitivi di memoria e comportamentali, possono essere individuati attraverso semplici test neurologici e in caso di necessità, dopo i dovuti approfondimenti clinici, si può intervenire con l’allenamento del cervello, che mantiene attiva la mente, rallenta la perdita cognitiva e aiuta nel recupero.
Il protocollo è utile anche alle persone sane per mantenere sveglia la mente e ritardare l’invecchiamento.
Riportiamo di seguito una descrizione del progetto Train the Brain e dei principali risultati ottenuti.
TRAIN THE BRAIN
studio clinico sperimentale dell’efficacia di un intervento di training cognitivo e fisico nella demenza
Sperimentazione realizzata dal Neurofisiologo Prof. Lamberto Maffei, Presidente dell’Accademia dei Lincei, con l’Istituto di Neuroscienze e l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR e l’Università di Pisa.
Il progetto, denominato Train the Brain (TtB) è stato avviato nel 2012 ed è stato applicato con successo ai soggetti che iniziano a sviluppare la patologia.
Il costo: 4 milioni di euro, coperto da un finanziamento ottenuto vincendo una gara internazionale.
I soggetti selezionati hanno allenato costantemente le loro funzionalità cerebrali tramite attività intellettuali, musicali, fisiche e ludiche. Gli scienziati, nel frattempo, hanno monitorato lo stadio di avanzamento della malattia, per testare l’efficacia del metodo nel rallentare gli effetti del morbo sul cervello.
I soggetti con un elevato grado di scolarità, sembrano far fronte meglio all’inizio della patologia, mantenendo un livello funzionale normale per un tempo più lungo rispetto a soggetti con un livello di scolarità inferiore
I soggetti, individuati attraverso le segnalazioni fatte dai medici di base, sono stati circa 1000, di questi solo 400 sono risultati potenzialmente a rischio e quindi inviati a successivi accertamenti e approfondimenti, clinici con i quali sono stati ulteriormente selezionati in tutto 160 soggetti, di cui 80 sottoposti al trattamento e 80 collocati nel gruppo di controllo. I soggetti che hanno seguito il trattamento sono andati nel centro a giorni alterni tre volte a settimana suddivisi in gruppi di 10 alla volta, ed hanno svolto attività per tre ore al giorno. Due ore di stimolazione cognitiva e un’ora di esercizio fisico.
“L’80% dei pazienti che hanno partecipato – spiega il Prof. Lamberto Maffei – mostra un significativo miglioramento cognitivo; del restante 20% la stragrande maggioranza è stabile e solo due sono peggiorati. I soggetti non sottoposti al trattamento, messi nel gruppo di controllo, presentano invece, nello stesso arco di tempo, un peggioramento rilevante. I trattamenti praticati hanno fatto registrare nei pazienti che hanno partecipato anche variazioni della funzionalità cerebrale e vascolare, tra cui un aumento dell’afflusso sanguigno nel cervello e una miglior risposta cerebrale a compiti impegnativi. I familiari riferiscono anche un importante aumento del coinvolgimento dei pazienti nella vita familiare e nelle attività quotidiane e i pazienti esprimono gradimento per l’intervento, al punto che molti di loro, al termine del primo ciclo di trattamenti hanno chiesto di poter tornare per un ciclo successivo”.