DEL PEDALE E LA SUA GAMBA
Di: Massimo Alimandi
La nuova stagione della bicicletta, in pieno svolgimento ora che, in Italia, questa ha superato l’auto per numero di vendite, ci trova, a noi amanti di questo fantastico mezzo, felicemente impegnati ad immaginare quanti e quali scenari potrebbero svilupparsi, da qui in avanti, intorno ad un rinnovato modo di vivere la bici in un territorio (il nostro Bel Paese) fin qui molto poco ricettivo e molto arretrato, almeno rispetto quasi tutto il resto d’Europa.
Su piste ciclabili finalmente funzionanti come su percorsi off road, l’intero vivere quotidiano, dal lavoro al tempo libero, potrebbe quindi riordinarsi nella misura di un nuovo, diverso intendere il trasferimento, che sia una necessità o un piacere.
L’idea di “viaggiare” in bici, per quello che le nostre capacità ci consentono, ci suggerisce allora alcune riflessioni sul “ciclista”, da cui l’articolo che segue, tratto da un questionario somministrato nel 2010 ad un gruppo di cicloturisti impegnato nel deserto tunisino.
BIKE-AN-SHAUNG
Dal tedesco “Weltanschaung” (visione o concezione del mondo), termine caro al sociologo Max Weber per sintetizzare i tratti comuni di una società; con questo titolo proviamo a tracciare il profilo del “pedalante di scopo”, o colui che fa della bicicletta un modo di essere antico, come il viandante ed il suo strumento (la bici, appunto). L’occasione è un tour nel deserto tunisino, magistralmente ideato per ridare allo “strumento bici” la sua forma originaria: alternativa al cavallo, ed al viaggio il più caratteristico significato: la conoscenza dell’altro e del “diverso”.
C’era una volta colui che, troppo povero per disporre di un cavallo, montava una bicicletta per spostarsi, lavorare,viaggiare; mezzo meccanico per antonomasia, il velocipede raddoppiava l’autonomia, accorciava le distanze, connotava un tipo di viandante.
Chi può essere oggi il ciclista viaggiatore? Quale bike-an-schaung (concezione/idea della bici) lo caratterizza?
Siamo andati di nuovo nel deserto tunisino (vedi MTBW del settembre 2010) per provare a tracciare un possibile profilo del nomade a pedali del terzo millennio, attraverso ciò che può caratterizzarlo, pur nelle sue contraddizioni di occidentale benestante, al cospetto di una dimensione che lo proietti, attore consapevole, in dimensioni altre, diverse, primarie.
Beninteso, qui il viaggio non ha le pretese delle grandi, epiche avventure di un tempo, ma si circoscrive nell’effimero e, se vogliamo, infantile gioco dell’individuo che, in temporanea fuga dalla morsa delle consuetudini, ricostruisce frammenti adolescenziali, ma per questo più “autentici”, di un modo di affacciarsi al mondo “scappando di casa”.
Chi sarà dunque quella figura indistinta che solitaria si muove sulle piste sconnesse e ostili di un deserto che si perde all’orizzonte senza offrire una visibile meta?
Prese le ferie, l’aereo, montato il proprio velocipede più o meno tecnologicamente evoluto, lasciato il confortevole albergo, riempito lo zaino dell’essenziale, un gruppetto di cinquantenni pallidi ma vigorosi sciama sotto il primo sole del maghreb alla ricerca di loro stessi.
Di buona cultura e ceto medio, l’impiegato e il dirigente, il pensionato, la casalinga, l’operaio e la ginecologa, uniformati dentro mutande dal caratteristico fondello, allineati ma poco compatti nell’habitat minimale e parificante del deserto, di lì a qualche giorno si troveranno, sotto uno straordinario cielo di stelle di un campo tendato, a confrontarsi con il test da noi preparato, dunque a stimolarsi a vicenda attorno a risposte circa la nostra natura.
Il prototipo del biker che ne verrà fuori si dipana,dunque,a partire dalle sue esperienze, le quali hanno un loro minimo comun denominatore: la capacità di adattamento, costruita spesso attraverso vacanze giovanili in tenda e sacco a pelo, o avventure in posti lontani dagli standard occidentali, ma non necessariamente esotici,trekking e turismo non convenzionale.
C’è dentro una connotazione psico-attitudinale alla dinamicità, alla capacità di arrangiarsi, all’impegno fisico come elemento di conoscenza; all’origine ci sarebbe, si dirà anche, lo “stress da comfort”.
Da qui L’ambiente diventa fondamentale per la costruzione del senso, ancor più se messo in relazione alla disposizione d’animo, alla resistenza, alla prestazione. Conoscerlo, viverlo e rispettarlo, mai violarlo nemmeno con un pezzo di carta, lasciarlo come lo si è trovato, è condizione usuale ma non così scontata. Il nostro biker lo accosta, anche in relazione al grado di complessità, alla performance agonistica, comunque presente, a testimoniarne un’attenzione ai rischi che possono scaturire dalla sua sottovalutazione: ci si ingarella allora sulle difficoltà, gli strappi, le distanze;è sana competizione, funzionale. Siamo sempre pronti alle sfide!
Dalla sfida al viaggio ed alla sua accezione culturale,le nostre contraddizioni si fanno manifeste: ci barcameniamo, con difficoltà, tra l’indole del conquistatore (la vittoria, l’appropriazione) e la propensione al confronto, al rispetto ed alla convivenza. Nonostante un condizione che ci rende, volutamente, più vulnerabili, quindi più apertial prossimo, non riusciamo a liberarci completamente di retaggi quali la diffidenza, una sottesa superiorità, un familismo protettivo. Resta, cosa non da poco, il sincero e autentico sforzo di propensione alla dialettica multiculturale, all’attenzione al mondo, per quanto dissimile e straniero.
La crescita individuale sovraintende allo scopo, comune, della ricerca dei confini fisici e mentali, che ben si può sintetizzare nella metafora della cima, del limite , della meta da raggiungere. E’ bello ritrovarsi nel comune sforzo di non fermarsi e riposare sugli allori di una vita tranquilla, senza sfide con sé stessi, senza orizzonti da traguardare.
Per questo, le nostre percezioni sono molteplici spie di una condizione che, repentinamente e senza apparente cognizione, cambia il nostro stato psico-fisico, non appena montati in sella: odori, suoni e colori diversi stimolano la mente; il ritmo lento e regolare dei pedali scandisce un tempo ora dilatato e pieno… Cosa cerca quella figura indistinta e solitaria, tra le pieghe del deserto? Silenzio, lentezza, misura? E’ un plebiscito: via dalla frenesia cui siamo tutti, quotidianamente, sottoposti; nutriamoci, anche se per un momento e tra due parentesi, di profumi d’erbe e spezie dello Ksar, tramonti, ambra, infinito, quiete.
Tra le altre, una domanda sullo sport ci divide: vuole capire se la nostra sportività sia più esclusiva o inclusiva; se, in altre parole, facciamo squadra o meno. Certamente la bicicletta è disciplina individuale, ed in effetti sembra tale (con poche eccezioni) l’indoledel nostro prototipo di biker: ambizioso e competitivo, trova sempre qualcuno da superare se non sé stesso; trasporta quest’assetto fin da dentro il palcoscenico della vita stessa, come fosse un ring pieno di avversari. Ma quanto di ciò è indotto dalla nostra cultura? Non è questo un atteggiamento, comunque, di chiusura? E ciò che c’è intorno, siamo poi sicuri che ci restituisca uguale sfiducia? Il dibattito è aperto…
L’interrogativo, istintivamente, scivola sull’altro da sé, lo sconosciuto, lo straniero. Qui i contrasti fioccano; forse, il nostro ciclista del deserto non sa più essere sufficientemente aperto al prossimo, o troppo ingenuo rispetto ad un ambiente nel quale, comunque, è a suo modo intruso. Colpa sua o dell’altro?
Mi viene in mente, con i dovuti distinguo, un momento vissuto a Bir Sultane, piccolo posto di rifornimento nel mezzo di piste sabbiose, lungo la pipe-line tunisina. Qui è passata anni fa anche la Parigi-Dakar. Siamo noi con le nostre mtb quando ci raggiunge un rombante gruppo di motisti tedeschi, inguainati in fichissime mute di pelle sopra potenti enduro; mi avvicino sorridente per fargli una foto ma vengo accolto da grugniti e rutti di birra… Quale socializzazione?
Che risposte ci dà, allora, il nostro biker? Cerca sé stesso, viaggia per guardare fuori dalla porta, perché il liquido amniotico non fa per lui, cerca equilibrio, pace, distacco, serenità, crescita, cultura, umanità, ricordi lieti, persone stimolanti,cambiamento, passi avanti nella propria ricerca personale, la felicità ultima, un senso per la vita. Sta ancora cercando, o non cerca risposte e fa quello che gli piace. Dagli altri cerca sincerità e amicizia autentica. La libertà è dentro, su una montagna o in una stanza, la vita è continua ricerca,la “fatica del vivere”.(testualmente dal questionario somministrato)
L’età media dei partecipanti al tour tunisino era di 57 anni (il più piccolo 37, 73 il più anziano), dato che conferma le nostre rilevazioni di decine di raids simili; ci dice, innanzitutto, che la mountain bike, sport di fatica, può coinvolgere atleti e semplici praticanti di tutte le età, ovviamente con stimoli ed aspettative differenti; tra gli stimoli, il carattere non competitivo favorisce, senza dubbio, la presenza di partecipanti che, anche per questioni di età, non hanno un prevalente interesse alla prestazione agonistica, e viceversa esclude l’atleta che cerca unicamente gli stimolidelle competizioni. La mancanza di rilevanti difficoltà nei percorsi, inoltre, scoraggia coloro che preferiscono l’adrenalina dei passaggi tecnici e pericolosi, anche questi prerogativa (non esclusiva) più dei “pischelli” che dei “senior”.
Relativamente alle aspettative, gli elementi determinanti potrebbero essere ricondotti al fascino esercitato dall’ambiente (luoghi e persone) come dall’idea di avventura (il viaggio, l’ignoto) ed esperienza (conoscenza), che richiedono individui a questi sensibili (qui l’età conta parzialmente).
Di conseguenza, la tipologia (e, se vogliamo, i limiti) di queste iniziative, quali sono i raid di lunga percorrenzasu terreni naturali, non può che rivolgersi prevalentemente a fruitori non agonisti, maturi e responsabili, in grado di gestire le proprie risorse psico-fisiche e con un alto grado di adattabilità.
Anche la bici, spesso conforme alla personalità del suo proprietario, non deve essere roboante: non serve un mezzo meccanico ipertecnologico e sofisticato, bensì semplice e robusto, così come al suo fantino è richiesta una buona esperienza di meccanica per soluzioni pratiche ed efficaci.
La propria MTB è più di uno strumento: è, a volte, simbiosi ed umanizzazione, oppure libertà, paesaggio e silenzio. Soprattutto, sarà meglio se ben equipaggiata: preferibile, per lo sconnesso incessante,una full-suspended, freni a disco se possibile meccanici, telaio in alluminio, gomme in buono stato, leggera e robusta.
Dal cavallo alla MTB del XXI° secolo, il filo conduttore resta la propulsione muscolare come soluzione ecocompatibile al problema dello spostamento del viaggiatore e del suo bagaglio, attraverso il territorio e le sue barriere naturali, la copertura di distanze quanto più considerevoli, ed il superamento di ostacoli altrimenti non oltrepassabili.
Sulla sabbia non si pedala, ma ciò non toglie che alcuni brevi tratti non possano essere affrontati bici in spalla, così come tanti percorsi impervi e rocciosi di montagna.
In definitiva, al nostro biker-prototype non sembra essere precluso molto dell’ambiente terreno, alla faccia dei motori!
Tra il 1931 ed il 1936 il polacco Kazimierz Nowak, in sella ad una bicicletta che possiamo immaginare piuttosto rudimentale, dato il periodo e rispetto alla tecnologia oggi disponibile, attraversa l’intero continente africano da nord a sud e ritorno (vedi foto della targa commemorativa, posta in Libia a …); un’impresa che ha dell’epico!
Anche la bici (autoctona) della foto sotto, con i copertoni retti dallo spago, ne avrà di storie da raccontare!
Tra le iniziative che vorreisegnalare a tutti coloro che intendono avvicinarsi al mondo delle due ruote a pedali,ecco le “settimane verdi” ed il progetto, in via di realizzazione, di cicloturismo sportivo nella città di Roma e dintorni, che, sfruttando le ancora poche e mal poste piste ciclabili, ma soprattutto i percorsi “off road” presenti nella capitale e nell’hinterland, come le splendide ville e parchi di Roma, Ostia e Castelli Romani, offra a coloro che intendono passare una vacanza romana “alternativa” alle tradizionali rotte turistiche, occasioni per la scoperta di una cittàdiversa, un approccio ad essapiù sportivo e naturalistico, una mobilità più sostenibile, una cultura del “vivere” piuttosto che del “visitare”.
Per un’idea della fruibilità ciclabile della città, utile riferimento è la mappa dei percorsi ciclopedonali, edita dal Comune di Roma e distribuita presso i P.I.T. di Roma, ed il G.S.A. (Grande Sentiero Anulare), illustrato in rete e, come un work-in-progress, modulabile secondo le mete da raggiungere.
Infine, due suggestioni: il mare, con la spiaggia libera di Castel Fusano, il porto di Traiano e gli scavi di Ostia Antica, raggiungibili dalla ciclabile del Tevere lungo il territorio dell’oasi LIPU e la Pineta di Ostia;
il Parco dei Castelli Romani, dall’Appia Antica per i laghi di Castel Gandolfo e Nemi, tra infinite varianti di sentieri e percorsi attrezzati dove praticare le diverse discipline della Mountain Bike.
Massimo Alimandi
SETTIMANE VERDI 2013
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