Come fare satira nel XXI secolo sapendo che.… “se il pubblico è già d’accordo con te, non c’è bisogno che tu lo dica”!
Filippo Giardina è un comico. Fondatore di Satiriasi-stand-up comedy di cui l’11 novembre 2013 partirà la quinta stagione. 7 commedie per 10 serate, ogni volta con un monologo inedito.
Di: Fabiana Carucci
L’intervista…
L’incontro con Giardina è in un afoso pomeriggio autunnale in quel del quartiere di Testaccio a Roma. Di fronte sicuramente si vede un comico dell’avanguardia capitolina fra i più promettenti, autore di una satira di pasquinesco sapore, di quelle che parla allo spettatore e tra una risata e l’altra…fa specchio ai tempi in corso, raccontando di noi, della nostra società, di corsi e ricorsi storici, per tutti quelli che…vogliono sentire.
Come nasce Filippo Giardina l’artista?
F.G. “Ho iniziato a 20 anni nei Villaggi Turistici, poi è arrivato il Cabaret con un trio, copiando proprio i pezzi da Villaggio e così è andata fino ai 25 anni. Allora avevo le idee poco chiare perché erano periodi della mia vita un po’ burrascosi. Poi, proprio a 25 anni, il mio percorso ha iniziato ad apparirmi più chiaro e così mi sono iscritto ad una scuola di teatro; lì per due anni, 7 ore al giorno, ho studiato sodo e subito dopo sono salito sul palcoscenico iniziando a fare teatro. Da sempre ho avuto un approccio molto romantico con questo mestiere e così, dopo una gavetta in cui mi sono accorto che facevo spettacoli brutti e non venivo pagato, ho deciso 11 anni fa di trovare un’identità che davvero sentissi mia: è stato allora che ho iniziato a fare satira. Sono attore ed autore ed ho fatto molte cose: 3 cortometraggi, 1 lungometraggio, 7 puntate di un programma che si chiama <non rassegnata stampa>, tutto autoprodotto; poi anche la prima trasmissione su Facebook in 10 puntate, dove si racconta di come fare un film a costo zero ed anche 6 monologhi satirici di un’ora e un quarto ciascuno. Ora siamo alla quinta edizione di SATIRIASI, pronto a partire l’11 novembre. Questo mio lavoro è la cosa di cui forse sono più contento, anche perché ho rinunciato al narcisismo di voler arrivare io da solo. Qui ho voluto infatti riunire un team di professionisti di satira che avessero delle caratteristiche ben precise. Si tratta di tutti comici che salgono sul palco e fanno monologhi i quali… non devono trovare l’immediato favore del pubblico. Diciamo che la regola in questo caso è: se il pubblico è già d’accordo con te, non c’è bisogno che tu lo dica!
Pensi che questa sia un’epoca caratterizzata da maggior disumanità o mancanza di dignità?
F.G. “Entrambe, perché credo sia tutto legato ad Internet ed a come stia trasformando la vita delle persone: tutti vivono una vita pubblica non pensando e sapendo come si vive una vita pubblica. Mi spiego: io ci penso due volte prima di esternare a tutti la mia vita privata, di cui sono molto geloso. Questa è un’epoca in cui si fa pornografia di sentimenti! Tutti hanno una vita popolare non pensando che quando si parla ad un pubblico si attua, consciamente o meno, una manipolazione. Non c’è cattiveria! Forse nemmeno coscienza di ciò. Io vedo un sistema economico che sta producendo questo. Nulla di nuovo: il capitalismo esiste da sempre, è nato assieme all’uomo e si è sempre saputo re-inventare, seguendo passo passo l’evoluzione umana, così da potersi attualizzare all’epoca, di volta in volta. E’ la storia che si ripete. Però penso che stavolta, più di altre prima, c’è una forte perdita di dignità delle persone. Abbiamo trasformato il Paese e la vita di tutti noi in una riunione di condominio, dove tutti sono molto più intenti a litigare che impegnati a capire e dialogare con l’altro: questo non porterà mai a nulla perché non è altro che una partecipazione illusoria che comunque fa si che se parlano tutti, in realtà non parla nessuno e nel caos generale, purtroppo anche le buone idee spariscono, confuse col resto. La cosa peggiore è che oggi il nemico si maschera da amico del cuore. Tutti pensano che navigare in Internet regali la libertà; bugia! E’ una perversione in cui anche la critica è funzionale a questo potere. L’importante, qualsiasi cosa tu faccia e dica, è che tu la faccia e dica in Internet: tutto deve comunque essere contenuto all’interno del sistema, come un cavallo a cui è concessa l’illusione di essere libero di correre ovunque: si ma…dentro al recinto costruito appositamente per lui”.
La tecnologia come grande potenzialità ma che è anche il nostro grande nemico?
F.G. “Si. Non puoi essere fuori dal coro! Perché, che tu sia d’accordo o meno con la massa, qualsiasi cosa rivoluzionaria o <originale> si possa pensare di dire, comunque sia la si sta esternando all’interno di un sistema. Puoi anche far parte della nicchia di arrabbiati che criticano Internet, ma per assurdo lo fai DENTRO Internet. L’unica alternativa sarebbe uscirne fuori, imparare a non essere dominati dal mezzo come avviene oggi, da noi stessi creato, bensì riuscire a renderlo davvero uno strumento funzionale a noi; non viceversa. E’ come se la Rete sia la droga del XXI sec. Se ne assumi in eccesso vai in overdose e gli smartphone hanno dato un’accellerata pazzesca; infatti ormai viviamo connessi h.24 e nemmeno ce ne rendiamo più conto. Io stesso, che ora sto criticando, magari entro su Internet 20 volte al giorno. Credo che tutto ciò sia dovuto alla necessità di ognuno di dimenticare quest’epoca in cui abbiamo permesso che l’economia diventasse il centro di tutto: ecco allora che una comunicazione fredda che avviene dietro una tastiera permette di non affrontare i problemi veri, quelli che una comunicazione calda, ossia a 4 occhi, invece comporta. Tutto viene bypassato da una comunicazione fredda e soprattutto carica di retorica ove ciascuno proietta valori ideali e che non vive davvero nella realtà, dentro il proprio Avatar sui social networ; nell’alter ego virtuale. Se facebook fosse ad esempio lo specchio del mondo, ci direbbe che il nostro è un pianeta fantastico ove tutti sono solidali, scendono in campo battendosi per i diritti, proteggono gli animali, aiutano il prossimo: bhe, tutto ciò sparisce quando chiudi il pc e scendi per strada a rispecchiarti con la vita reale. Internet NON E’ la vita reale; ne’ la rispecchia affatto. Solo che piuttosto che guardare la propria mediocrità e le umane mancanze di ciascuno, si preferisce spegnere il dolore ed accendere Internet dove, prima di tutto e di tutti gli altri, noi assolviamo noi stessi! Ci solleviamo dalle nostre responsabilità. Tutto è molto emotivo, forte, ma manca sempre il come.
La Rete ci da l’illusione che tutti possiamo parlare con competenza di tutto ma è demagogia. In Internet, che è il mezzo in teoria più democratico e liberista che c’è, proprio qui invece, per assurdo si replicano ancora più forte le dinamiche dei pochi che contano”.
Se tu fossi il Direttore Editoriale di un nascente canale televisivo che deve occuparsi di fare cultura, che programmi metteresti assolutamente nelle tre fasce orarie di mattino, pomeriggio e sera e cosa assolutamente non vorresti?
F.G. “Vietare tendenzialmente nulla; secondo me ci dovrebbe essere tutto perché sia più completo possibile. La mattina farei andare in onda delle storie di vita dei nuovi cittadini arrivati in Italia: tipo che un giorno darei la parola ad un ragazzo senegalese che vive e lavora qui; un’altra a qualcuno che per vivere vende CD per strada. Questo perché siamo tutti bravi ad essere solidali piuttosto che a condannare o chiedere di cancellare la legge Bossi/Fini. Ma credo che solo conoscendo le realtà dall’interno, soprattutto per gli anziani che sono il pubblico prevalente la mattina, si possano avere in mano gli strumenti per crearsi un’opinione basata su una più reale conoscenza. Il pomeriggio metterei un programma dedicato più ai giovani, ma non solo, in cui si fa educazione civica, qualcosa che racconti la realtà. Se vogliamo un cambiamento nel futuro dobbiamo partire dai bambini, dalla scuola e dare proprio delle basi diverse, una coscienza civica nuova e forte che in primis condanni l’illegalità. Non cambierà nulla fra un anno non illudiamo nessuno; ma se vogliamo un mondo diverso fra 20 anni è possibile, dando vita ad una generazione diversa. Non ci sono soluzioni semplici, ripetiamoci come un mantra che dobbiamo stare calmi e cercare assieme delle soluzioni: per prima cosa trovando persone davvero competenti e metterle ai posti che gli spettano. In Italia i nostri genitori vivevano sull’idea dell’impegno come garanzia di creazione di un futuro migliore. Oggi non è così; oggi viviamo in una società dopata di narcisismo dove i figli stanno peggio dei padri e non hanno futuro. Non serve lamentarsi. Prendiamone atto che è così e partiamo dai bambini, magari proprio dall’educazione civica, per dare delle basi nuove agli adulti di domani, del tutto distanti da quelle attuali, riproponendo quei valori di base che possano dare loro quel futuro che a noi oggi è stato tolto. Non facciamo le vittime! Rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare per cambiare! Rimane il programma della sera, quello per la fascia più ampia dove ci sono anche gli adulti di media età. Ecco, qui metterei un programma ove si parla di quanto in genere non si dice. Poco si parla di giovanissimi pre-adolescenti che oggi costruiscono la loro relazione affettiva basandosi sui cyber film che vedono in Rete. Il loro riferimento”.
E intanto chi vive oggi?
F.G. “Chi vive oggi deve fare un bel respiro e iniziare a ridere di più, a prendere la vita, le cose, il mondo, quello che vive, vede, sente, fa, con mooolta più leggerezza. E c’è bisogno di maggior leggerezza anche e, entrando nello specifico del mio mestiere, nell’affrontare la serietà e nell’approcciarsi alla comicità, soprattutto alla satira. Quando penso ad esempio che sta venendo su questa nuova generazione che prende i porno, facilmente fruibili in Internet, come suo riferimento per la vita sessuale ed affettiva, ecco li capisco che c’è davvero un’emergenza in atto. E si crea una spaccatura, un non dialogo con le generazioni precedenti, con i genitori che non vedono, o anche non vogliono vedere; sono indaffarati ma forse è per non dover vedere, capire. Intanto i figli crescono e parlano un linguaggio del tutto diverso dai genitori: pericolosamente diverso. Gli adulti si nascondono oggi come forse mai prima, dalle loro responsabilità, dal non saper dare ai propri giovani gli strumenti per crescere in maniera sana. I bambini crescono da soli, tra asili nido e scuole, tra tate e televisione ed i genitori devono lavorare: questo è un dato di fatto”.
Se tu avessi un figlio oggi, che gli diresti?
F.G. “Cercherei semplicemente di volergli bene e di parlarci. La vita sarà sua, farà stupidaggini come tutti ne abbiamo fatte, ma io vorrei cercare di dargli una mano, di fargli sentire che ci sono, di dargli quello che è mancato a me, una presenza affettiva con cui ci si confronta e che ci argina volendoci ben allo stesso tempo; tenterei di parlare il suo linguaggio e capire, vedere con i suoi occhi per poterlo aiutare proponendo alternative ed in questo serve anche un sistema scolastico differente. Una scuola con insegnanti più motivati. Dico la scuola perché tutto parte da li. Anche i valori che vengono insegnati dovrebbero essere rivisti. Un’insegnante è percepito oggi quasi come uno sfigato, mentre ora più che mai ha invece un ruolo importantissimo e gli va riconosciuto. Il politico: ecco, oggi chi fa politica a priori è visto come un nemico pubblico. Non è così. C’è chi fa male il suo mestiere e che va sostituito da chi sa e vuole farlo bene, perché la politica è l’ossatura che regge la società: chi fa politica è qualcuno che ha come suo compito il prendersi cura dell’intera società che va a governare. Dobbiamo puntare sulla politica, mettere scuole apposite per chi vuole fare politica, formare e stabilizzare questa professione con serietà e puntualità, affinché chi la esercita lo faccia con seria cognizione di causa ed un’adeguata preparazione professionale. Non può e non deve, secondo me passare il concetto che chiunque può fare politica perché si rischiano grossi danni. Come dire che chiunque può fare un qualsiasi mestiere, una professione qualsiasi, senza una preparazione seria ed apposita di base. E tutti dobbiamo cambiare proprio ottica, modificare il nostro punto di vista a partire dal quotidiano. Iniziamo a parlare bene delle persone che stimiamo e smettiamo di parlare male di quelle che non ci piacciono. Re-instauriamo una nuova cultura del positivo, della ricostruzione. La vita di tutti oggettivamente migliora se ci concentriamo sulle cose positive e viceversa, peggiora senza risolvere nulla e anzi spesso accrescendo i problemi, se abbiamo un atteggiamento negativo e lamentoso verso la nostra vita”.
Cosa vede Filippo Giardina quando sale sul palco e guarda il suo pubblico?
F.G. “Ho sempre vissuto in modo molto serio il mio lavoro, che per me è stata la maniera migliore, la via per uscire dal mio ghetto mentale. Fondamentalmente io dico tante parolacce perché sono timido; parlo di sesso spregiudicatamente perché sono pudico; tiro in ballo la religione perché d’indole sono credulone. Mi faccio una coccola esorcizzando quelle che sono le mie fobie, le paure, i limiti. Per anni ho avuto un rapporto molto conflittuale col pubblico perché volevo piacere. Penso invece che prima di tutto, qualsiasi cosa si fa, si debba piacere a se stes
si, senza cercare a tutti i costi l’approvazione di tutti. Essere se stessi e lasciare che siano gli altri a VOLERCI CAPIRE E VEDERE, per quello che siamo, a voler leggere tra le righe i messaggi che mandiamo, a cercare di entrare nel profondo del significato dei messaggi che inviamo, non fermandosi all’apparenza, che tra l’altro quasi mai coincide con la sostanza. Questo sia sul palco, che nella vita. Fare l’attore e raccontare sul palco vuol dire essere disposti a fare un duro lavoro su se stessi; anche doloroso a volte perché comporta il dividere con il pubblico la parte di se’ più intima. Dal palco è complesso capire cosa percepisce il tuo pubblico, se il messaggio arriva in modo corretto o meno. Per anni ho avuto l’illusione di dire qualcosa a qualcuno. Ora è un po’ di tempo che cerco di esprimermi ”.
Guardando i tuoi spettacoli si vede che generi o consenso, da parte chi ti capisce davvero, piuttosto che da chi si <ritrova> e rispecchia fedelmente nel quadro che dipingi, sentendosi <a casa>: oppure generi dissenso totale, persino indignazione.
F.G. “Posso dirla con una battuta? Il mio spettacolo può piacere o non essere capito! Io non voglio dirti <tu stai male> io esprimo solo me stesso: faccio satira. Metto quello che percepisco nella mia vita in forma artistica. Non credo negli psicodrammi. E’ tutto finto! E’ un portare in scena qualcosa. Quello che esprimo sul palco è un mio punto di vista cucinato, pensato, esagerato e amplificato. Quando io sono carico e contento vedo che trasmetto maggiormente al pubblico e alcuni sono contenti: altri no. Ma il mio lavoro è esprimere la mia arte non preoccuparmi del pubblico. E questo vorrei dire specie a chi inizia ad affacciarsi al mondo artistico. Il pubblico ti lusinga o ti può far star male ma non conta questo: chi è sotto il palco è spettatore di qualcosa che tu proponi e giustamente può giudicarti e farlo come meglio crede. Io gioco a Ruzzle e lo faccio sempre più, anzi sono proprio bravo! E lo dico perché è qualcosa che ti porta a dover stare molto concentrato. Mi rendo conto che è un’ottima metafora di come si dovrebbe stare su un palco, di quale è il pensiero dietro: il messaggio dice di stare dentro a quello che si fa con tutto se stesso e lasciare fuori ogni altra cosa perché tutto ciò che è fuori ti distrae. Se sei un professionista hai pensato sicuramente prima cosa dire e quando sei in scena devi solo occuparti di rendere fruibile quello che già sai di dover dire e che hai elaborato in tempi lunghissimi. Io passo tutta la vita a pensare cosa dire. Chi sale su un palco paga un prezzo altissimo, lavora 24 ore al giorno e duramente e fa un forte lavoro anche su se stesso, mettendosi in gioco, a patto che sia una dipendenza sana e non schiavizzante o escludente il resto della vita. Un comico, secondo me, deve saper in primis prendere in giro se stesso: mi fa sorridere vedere come tanto vengo frainteso perché in ogni cosa che dico, in ogni mia presa in giro, il primo che satirizzo sono io, prendo in giro me stesso e quando arrivano persone che mi accusano di giudicare ed essere arrogante, mi rendo conto che forse non hanno ascoltato proprio. Io esco davvero malconcio dal mio spettacolo. Ma forse anche in questo sono uno specchio satirico di questo tempo e la sua ossessione comunicativa, in cui si parla attraverso i pensieri e le parole di pochi , usando i detti e le frasi dei V.I.P. Tutti parlano: pochi vogliono ascoltare. Ascoltare davvero!”