Di: Fabiana Carucci
Diatriba da sempre scottante quella che riguarda la convivenza nei Condomini tra uomini ed animali domestici.
La Legge 220/’12, entrata in vigore il 18 giugno 2013, ha rinnovato in materia di Regolamento Condominiale, il rapporto fra condòmini ed animali domestici (non più detti di compagnia). Altresì, ha posto dei punti fermi atti a regolare in modo chiaro limiti e concessioni in materia. A tal proposito è da rilevare come il cardine di questo rinnovamento sia il DIVIETO DI PROIBIRE O LIMITARE il possesso di animali domestici, considerati oggi, in tutto e per tutto, componenti del nucleo familiare. Un’unica possibile eccezione è nel caso di specifico impedimento presente nel contratto di locazione, firmato dai contraenti, poiché appunto in questa circostanza siamo in ambito di accettazione di clausola fra due parti in sede contrattuale.
Le variazioni apportate ed in vigore dal 2013 sono state doverosamente recepite in materia di Regolamento di Condominio, nel codice civile ove in evidenza poniamo la modifica dell’art. 1138. Nella fattispecie si evidenzia appunto il divieto di impedire ad un comproprietario il possesso di animali domestici, cosa che andrebbe ad intaccare gli inviolabili diritti personali ed individuali, costituendo di fatto un illecito. Tale disposizione vale non solo da ora, bensì va ad annullare anche le delibere assembleari volte all’impedimento di possesso animali in condominio, antecedenti al 2013, aggiornandole automaticamente.
Una questione ancora non chiarita è quella che definisce quali sono gli animali domestici. Da quanto al momento (ma non c’è ancora chiarezza legislativa in merito) si può evincere che sono considerati tali quelli di affezione familiare, finanche le tipologie “da fattoria”, mentre un punto spinoso riguarda ancora i cosiddetti “animali esotici”. Riguardo quest’ultima voce, si precisa che: “Sono da considerare esotici tutti quegli animali che non dovremmo mai vedere dal vivo nei nostri paesi”. In dettaglio si può consultare l’A.A.E. (Associazione Animali Esotici), in cui trovare delucidazioni in merito a norme di detenzione ed ammissioni di legge, oltre che alle indicazioni per un corretto mantenimento degli stessi, ove permesso, al sito: www.aaeweb.net.
La recente ammissione degli animali domestici all’interno delle corsie di ospedali (ha fatto da apri pista in Italia l’Emilia Romagna) va ancora di più a consolidare il rapporto affettivo ed il legame uomo-animale, riconoscendo di fatto al PET (definizione inglese di animale domestico ormai ad uso comune), un nuovo status sociale e diritti inalienabili.
Le liti di Condominio più frequenti riguardo alla detenzione di animali riguardano principalmente 3 punti, di seguito sviluppati.
I rumori molesti causati da miagolii e latrati di notte e di giorno.
Iniziamo col chiarire la differenza tra emissione naturale e fisiologica, ossia quella che rientra nel normale esprimersi dell’animale, dall’emissione anomala ed incessante, tale cioè da poter esser definita molesta. In questo, e solo in questo secondo caso, debitamente comprovato, sono previste misure per il responsabile dell’animale al centro delle accuse, che vanno a partire dall’ammenda fino al sequestro del PET. Va specificato che la disposizione di sequestro è raramente messa in atto e relegata ai casi di comprovata e motivata gravità.
La legge fa divieto a chiunque di maltrattare, perseguitare o uccidere un animale da cui si è disturbati, che sia di proprietà o che trattasi di randagio o di colonia felina, a pena di denuncia, come da art. 612 del codice penale volto a punire proprio chi minaccia o crea un ingiusto danno ad animale. In caso di assassinio, disciplina l’art. 544-bis del codice penale sul reato di crudeltà: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi”. L’art. 544-ter. Specifica ancora: “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche ecologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale”. In merito al divieto di utilizzo di collare anti-abbaio, si è espressa la Cassazione Penale, sez. III, con sentenza 17 settembre 2013, n. 38034, nel far rientrare questo tra i comportamenti risultanti nel reato di maltrattamento.
Un’interessante lettura chiarificatrice da segnalare è: IL MALTRATTAMENTO ORGANIZZATO DI ANIMALI, manuale contro i crimini zoomafiosi, (a firma di Ciro Federico Troiano).
Chiunque assiste a tentativi di violenza o uccisione di un animale è TENUTO a sporgere denuncia, testimoniando quanto visto ed intervenendo per scongiurare il fatto (e qui si parla anche di coscienza personale) ed allertando anche le Forze dell’Ordine, le quali hanno l’obbligo tassativo di indagine ed accertamento, a pena di ulteriore denuncia penale nei loro confronti, per “omissione di atti d’ufficio” come da art. 328 del codice penale.
Nello spinoso caso del disturbo di quiete pubblica condominiale, il verso animale è equiparato al vocio di condòmini che discutono, ad emissioni musicali o televisive nei previsti limiti di tollerabilità previsti dalle ore 8 del mattino fino alle 10 di sera ed a seguire fino a mezzanotte, in misura ridotta. Qualora ci sia la lamentela di un solo condòmino non si ritiene che ciò sia indice di un’effettiva problematica, bensì si valuta secondo il principio di tolleranza per il buon vicinato. Qualora venga presentato invece un esposto collettivo, la Cassazione prevede la punibilità del proprietario fino ad arrivare all’arresto, in caso di continuo abbaiare, soprattutto di notte. In merito dispongono la sentenza di Cassazione n. 1394 del 2000, la sentenza di Cassazione n. 26107 del 2006 e quella sempre di Cassazione n. 1394 del 2000; d’utilità anche l’art. 59 del codice penale. La Cassazione, con sentenza n. 3241 del 1975 ha anche previsto la possibilità di “eliminare o ridurre l’immissione con l’adozione di idonei accorgimenti tecnici (…)” al fine di evitare ammenda, fino allo scivolamento nel penale, secondo i casi di legge.
I RUMORI MOLESTI, sono considerati di fatto un pericolo per il bene assoluto della salute psicofisica, che è di primaria ed imprescindibile importanza e, in quanto tale, doverosamente tutelata: in proposito disciplinano gli art. 2043 e 2058 del codice civile che dispongono il risarcimento dei danni. In tema di conflitto tra il diritto alla tutela della salute e quello della libera espressione dell’animale, vanno inoltre ponderati il contesto ed i limiti già citati e previsti per legge, considerando che si tende ad equiparare l’emissione acuta di verso animale al pianto di un neonato che può arrivare fino a 120 decibel, per livello appunto di suono emesso. La ratio usata è quella del mancato impedimento legittimo da parte del proprietario dell’animale, di cui si dimostri cioè la mancanza di volontà nel voler risolvere la questione. Ad esempio si può correggere l’atteggiamento errato dell’animale con appositi corsi di addestramento volti proprio a regolare il modo di abbaiare; come pure altre tipologie di strumenti educativi MAI LESIVI O COERCITIVI, tesi a garantire una pacifica convivenza.
Alla luce di quanto finora detto, dobbiamo rilevare che si pongono di fronte due diritti inviolabili: il diritto di proprietà contro il diritto di libera espressione con manifestazione di suoni e rumori. La questione s’incentra quindi sulla determinazione del limite della tollerabilità. Dispone dettagliatamente sulla questione l’art. 844 del Codice Civile che parla di isolanti acustici. Un’ulteriore chiarificazione deriva dalle sentenze della Cassazione Civile sez II, 6 aprile 1983 n. 2396 sulla tollerabilità delle immissioni, da quella della Corte Costituzionale 30 luglio 1984 n. 4523 per immissioni improprie ed il risarcimento danno. Sulla difesa dai rumori molesti ancora la Cassazione Civile con sentenza 17 maggio 1974 n. 1452 e Corte Civile d’Appello di Milano 29 novembre 1991 n. 1987. Sempre in materia di inquinamento acustico si sono espresse anche la Pret. Civ. Pescara, ord. 15 marzo 1992 n. 3 ed il Trib. Civ. di Monza sez. I, 14 agosto 1993 n. 1436.
Nel caso, ovviamente comprovato da idonea ed apposita certificazione, si rendesse necessario porre fine ad una turbativa comune causata proprio dai rumori molesti o da odori sgradevoli, il Condominio (ricordiamolo, non il singolo ma un gruppo indeterminato di persone in comproprietà devono esser disturbate perché si configuri reato) può fare domanda di allontanamento dell’animale dall’abitazione, in base all’art. 700 del codice di procedura civile che tratta di provvedimento d’urgenza, fermo restando l’obbligo di prova sulle “immissioni intollerabili” come dal già citato art. 844 del codice civile. In caso di avvenuto accertamento positivo, si procede quindi per “disturbo del riposo delle persone” come da art. 659 del codice civile ove: “si precisa che l’elemento portante di questa fattispecie criminosa risulta l’idoneità del fatto ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di individui e non già l’effettivo disturbo ai medesimi”.
A carico di chi si lamenta vige l’obbligo inderogabile di produrre la certificazione atta a confermare che, a causa dell’emissione anomala di latrati o miagolii si è venuto a creare uno stato comprovato di disagio psico-fisico. Di contro, il destinatario della procedura d’accusa può procedere sporgendo querela per immotivata persecuzione.
Oggetto di valutazione è anche lo stato in cui è tenuto l’animale, che non deve essere abbandonato a se’ stesso, magari relegato in balconi o chiuso in casa per tempi prolungati ed in uno stato di evidente abbandono e senza supervisione: qui va infatti ad ipotizzarsi anche l’aggiunta del reato di omessa custodia come da art. 672 del codice penale.
Deiezioni ed uso di beni comuni e di luoghi condominiali.
Partiamo dalla suddetta Legge 220/12, atta a disciplinare, tra le altre cose, la corretta condotta nel muoversi con i cani in aree urbane. Abolito il divieto di possesso di animali nel proprio appartamento ed ammesso il nuovo status di animale domestico/membro di famiglia, va di conseguenza a cadere anche il divieto di circolazione nelle aree condominiali. Resta ferma invece l’osservanza per tutti i condòmini (e loro PET) delle regole del buonsenso e di civile convivenza, al fine di non creare situazioni di potenziale pericolo d’ogni tipo. La libera circolazione dell’animale/membro di famiglia non è ammessa quindi senza adottare le opportune cautele, al fine di non recare danni o contravvenire alle comuni ed opportune norme igienico/sanitarie. A tal proposito, in primo luogo sono da evitare le deiezioni in ambito condominiale, relegandole invece alle apposite aree comunali predisposte segnalate sui siti e presso le ASL ed i Comuni d’appartenenza. E’ fatto OBBLIGO SEMPRE, per i proprietari di animali, di procedere con la raccolta delle emissioni dell’animale nonché il corretto smaltimento delle medesime, ad osservanza delle norme igieniche. Ecco perché durante l’uscita in passeggiata il condòmino responsabile dell’animale deve sempre portar con se l’apposito sacchetto di raccolta deiezioni.
L’art. 1117 e seguenti del codice civile disciplina circa la libera circolazione ed uso nelle e delle cose comuni; in tale ottica non può essere impedito all’animale l’utilizzo dell’ascensore. Resta ferma la dovuta osservanza di norme igienico/sanitario oltre ad applicare le previste misure cautelative ma non lesive dell’animale, al fine di prevenire aggressioni: in caso di violazioni, anche gravi, vige l’obbligo di segnalazione fino ad arrivare alla vera e propria denuncia. In ogni caso, il tutto va sempre accompagnato da prove rigorose ed inconfutabili, ossia da documentazione tecnica affidabile e perizie di parte. Si può e deve anche segnalare il cattivo stato di detenzione del PET o l’induzione dello stesso ad aggressività nei casi contrari alla legge. Si ricordi che comunque il proprietario può ribattere con apposito certificato attestante il corretto modo di detenzione e mantenimento, lo stato di vaccinazione e la buona salute dell’animale, come da accertamento veterinario.
In caso il PET venga minacciato, fino ad arrivare a veri e propri tentativi di lesioni o addirittura ad attentati alla vita anche tramite avvelenamento, il proprietario o chi per lui, può e deve presentare denuncia contro ignoti ed allertare le Forze dell’Ordine. La permanenza di gatti e colonie nelle aree condominiali è prevista e tutelata per legge, art. 544 della Legge 189/2004, secondo cui non permettere di accudire e sfamare animali liberi anche se circolanti in aree condominiali ove trovano abitualmente rifugio, è considerato maltrattamento e come tale punito, anche penalmente con la reclusione da 3 mesi ad 1 anno e multa da 3.000,00 euro fino a 15.000,00.
In questo ambito la legislazione è in fase di aggiornamento continuo. Un chiarimento ulteriore arriva dal codice penale, art. 638 sull’ uccisione o danneggiamento di animali altrui, come anche dall’art. 2052 del codice civile in merito al danno cagionato questa volta da animali, nonché dal già citato codice penale art. 672 riguardo l’omessa custodia e malgoverno di animali, in forza di danno a cose o persone. Un reato che è considerato “istantaneo ed a effetti permanenti” e che non abbisogna della clausola di accertamento di pericolosità dell’animale.
In attuazione della Legge 189/2004 che dispone sul divieto di maltrattamento animali, sottolineiamo come in caso di presenza di veleno si può far riferimento anche a quanto previsto nelle disposizioni del Testo Unico delle Leggi Sanitarie ove è prevista a carico del colpevole la reclusione fino a 2 anni. In ciò va considerato che la distribuzione di veleno mette in pericolo non solo gli animali circolanti nelle aree condominiali, ma anche ad esempio i bambini che potrebbero accidentalmente venirne a contatto.
Un finale cenno sul destino dell’animale domestico nel triste momento del suo decesso. La Asl in questo caso da indicazioni precise, anche per la tutela igienico sanitaria, a fronte della quale è VIETATO lo smaltimento illecito di carcassa punito ai sensi del D. Lgs. n. 36/2005, art. 4 che prevede una sanzione amministrativa fino a 28.000,00 euro. La UE nei “REGOLAMENTI CE 1069/2009 e 142/2011” nel Titolo I, capo II, sezione 2, articolo 12, definisce bene le modalità di doverosa e rispettosa sepoltura. In ogni caso va fatta, come prima cosa, segnalazione di decesso entro 3 giorni, presso l’Ufficio Anagrafe canina di residenza onde non incorrere in pesanti sanzioni decise con normativa regionale, e procedere poi con sepoltura o cremazione, secondo i protocolli vigenti. In proposito è opportuno rivolgersi alla propria Asl di riferimento ed anche ad un veterinario che può guidare ed aiutare in ogni fase, a partire dall’autopsia. D’aiuto possono essere le indicazioni contenute in: www.oipa.org. In proposito c’è un Progetto di Legge 19 aprile 2013, teso a porre chiarezza ed a predisporre su tutto il territorio nazionale cimiteri per animali. All’avanguardia la città di Milano ove in agosto 2015 è stata annunciata la costruzione de il “Fido custode”, primo cimitero italiano per animali domestici, che dovrebbe essere inaugurato proprio nel corso del 2016.
Assalti o pericolo di aggressioni.
In materia si è espresso tra gli altri il Ministero della Salute con l’Ordinanza 6 agosto 2013, la cui validità è prorogata fino a settembre 2016.
Già nel 2010, con la legge 201 era stata ratificata la Convenzione Europea per la protezione di animali da compagnia, con cui si fa chiarezza riguardo ai doveri di cura e mantenimento in buona salute dell’animale, nonché in materia di operazioni chirurgiche. Altresì viene sottolineato l’assoluto divieto per chi ha la fedina penale segnata, per i minori di 18 anni, per gli interdetti o inabili per infermità di mente, di detenere e condurre animali registrati (da sottolineare l’obbligo di chip contenente i dati d’identificazione).
È bene sapere che il proprietario risponde sempre in sede sia civile che penale per danni e lesioni a persone, cose o animali, causate dal Fido & Co. Ecco perché è fatto obbligo, come già da Ordinanza del Ministero della Salute pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 6 settembre 2013, di utilizzo di “un guinzaglio corto, a misura cioè non superiore a mt. 1,50 durante la conduzione dell’animale nelle aree urbane e nei luoghi aperti al pubblico, fatte salve le aree per cani individuate dai comuni”. Tutto questo al fine di evitare il “verificarsi di incidenti, soprattutto in ambito domestico, legati alla non corretta gestione degli animali da parte dei proprietari”. E’ obbligatorio inoltre “portare con sé una museruola, rigida o morbida, da applicare al cane in caso di rischio per l’incolumità di persone o animali o su richiesta delle autorità competenti”. Il PET va sempre e comunque affidato solo a “persone in grado di gestirlo correttamente”: a tale scopo bisogna informarsi bene su caratteristiche e necessità della tipologia e della razza dell’animale che si possiede, ed agire al fine di armonizzare la convivenza con altri eventuali PET e con il resto dei componenti famiglia.
Come sopra accennato ai cani è fatto d’applicazione di un microchip identificativo d’anagrafe canina da applicare al compimento dei due mesi di vita (non prima). Ne consegue che qualora si prenda un cane adulto questi debba già averlo e, nel caso di ritrovamento casuale di animale abbandonato o simile, senza microchip, è fatto obbligo di immissione immediata da parte di chi lo prende in custodia o ne decide l’adozione. In caso di violazione è prevista una sanzione amministrativa come da articoli 650 e 727 del codice penale, ed anche denuncia in casi di abbandono volontario accertato. Al veterinario compete anche l’obbligo di verifica dei casi ed eventuale segnalazione per contravvenzione volontaria a tale obbligo di legge. In merito si può consultare l’Ordinanza del 6 agosto 2008, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 20 agosto con numero 194 dello stesso anno. Per i gatti ed altri PET ancora non vince tale obbligatorietà.
Una lunga serie di disposizioni quindi, che valgono però a garantire una civile convivenza ed evitare litigi o peggio e che non hanno affatto scoraggiato l’adozione di animali di compagnia, la cui presenza nei Condomini è invece registrata in crescita. A maggior ragione quindi è bene essere coscienti che prendere un’animale non è equivalente ad acquistare un giocattolo. Si sta di fatto adottando una vita e come tale deve essere rispettata; si deve essere pronti e consapevoli non solo delle gioie ma anche delle responsabilità e degli oneri che ciò comporta, nel rispetto di uomini ed animali, sia nel proprio ambito familiare che in quello sociale in cui s’interagisce.
Un cenno va fatto anche al divieto totale per l’addestramento aggressivo e l’allevamento finalizzato alla diffusione di cani da combattimento o creazione di nuove razze atte alla ferocia per fini di caccia o guardia. No al doping e ad interventi chirurgici non necessari.
In caso di aggressione è fatto obbligo immediato di visita veterinaria per accertamento delle condizioni psico-fisiche degli animali coinvolti. Presso i veterinari stessi è inoltre tenuto un apposito “registro aggiornato dei cani dichiarati a rischio elevato di aggressività ai sensi del comma 2, art. 3 dell’Ordinanza ministeriale 6/2013, Ordinanza ove si trova, lo ricordiamo, la specifica dedicata proprio alla corretta detenzione di animali da compagnia e la convivenza sociale.
Il codice penale nell’art. 672 chiarisce come, “chiunque lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi, da lui posseduti, o ne affida la custodia a persona inesperta, è punito con la sanzione amministrativa da 25,00 euro fino a 258,00 (…)” .
Resta la responsabilità civile, come da art. 2052 del codice civile, a carico dei proprietari in caso di danni e/o lesioni causate a cose o persone per omessa custodia: è fatto anche obbligo di stipulare una polizza di assicurazione responsabilità civile in caso di detenzione di animali pericolosi e per danni causati a terzi.