Di: Fabiana Carucci
Ospitato dall’Accademia Nazionale dei Lincei, la più antica Accademia al mondo, fondata nel 1603 da Federico Cesi (ha avuto tra i suoi membri Galileo Galilei), il Prof. Tullio De Mauro ha tenuto una conferenza d’aggiornamento su i: “Livelli e dislivelli linguistici e culturali oggi in Italia”.
Tullio De Mauro, nato a Torre Annunziata il 31 marzo del 1932, è uno dei maggiori linguisti europei, nonché esponente tra i più illustri della cultura italiana.
Nel corso dell’incontro del 10 maggio scorso presso l’Accademia Nazionale dei Lincei con sede in via della Lungara a Roma, il Prof. De Mauro ha riportato alcuni dati emersi circa il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno che va pericolosamente “colpendo” il nostro Paese.
Nel 1999 l’Italia si diede una legge per tutelare le numerose “altre lingue”, le quali andavano affermandosi sempre di più nel nostro Paese, quali espressione distintiva e culturale delle differenti etnie che andavano radicandosi in terra d’Italia, ove, tra l’altro, nel tortuoso percorso di unificazione linguistica ci si è dovuti e ci si deve confrontare anche con il primato per numero di dialetti che affiancano la lingua nazionale rispetto ad ogni altro Paese europeo.
Intorno alla metà dello scorso secolo più di due terzi degli italiani parlava quasi esclusivamente in dialetto locale, con notevoli difficoltà a comprendere la lingua nazionale. L’avvento della televisione ha poi favorito l’inizio dell’approccio ad un’identità culturale unita: si deve però all’istituzione degli otto anni di scuola dell’obbligo il vero balzo culturale che ha permesso l’abbattimento dell’analfabetismo di massa.
Trascorso il primo decennio del XXI secolo, si sta assistendo oggi all’accrescimento di uno sconfortante fenomeno di analfabetismo di ritorno che ha dato i primi segni già nell’ultimo decennio del secolo scorso: questa regressione sta rischiando di vanificare lo sforzo enorme ed il successo ottenuto nella seconda metà del secolo scorso; i danni di quanto si sta verificando non si riflettono infatti solo sui diretti interessati, bensì portano ad un’arretramento socio culturale che colpisce l’intera popolazione e la qualità della vita di tutti noi.
Stili di vita errati, anche post laurea, allontanano dalla pratica della lettura, dalla necessità di approfondire i messaggi lanciati dall’informazione di massa, così da poter decriptare ciò che si apprende in modo coretto e filtrare consapevolmente quanto proposto dai media e sopratutto dai new-media; ci si allontana dall’aggiornamento continuo e dall’approfondimento e miglioramento di quanto già acquisito, dalla curiosità di sapere, dalla sete di conoscenza.
Abbiamo chiesto al Prof. De Mauro di parlarci di questo quadro culturale e linguistico italiano attuale.
L’INTERVISTA
Professore, numerosi ed ormai non più ignorabili segnali, parlano di un’Italia colpita a morte da un’onda di analfabetismo di ritorno che sta “devastando” culturalmente questo Paese. E’ forse questo l’inizio di un declino inarrestabile di quello che era una volta “il Bel Paese”?
DE MAURO: Come spiegano gli economisti, Tito Boeri e altri, la stagnazione economico-produttiva del nostro paese è cominciata con i primi anni novanta. Negli stessi anni la legislazione sugli spazi televisivi ha aperto la strada a reti nazionali commerciali che, vivendo di pubblicità, hanno cercato uditori a ogni costo e hanno spinto le reti televisive anche pubbliche sulla strada della commercializzazione a ogni costo, fino alla volgarità più greve. La funzione di promozione linguistica che la televisione aveva avuto, fondamentale in un paese che praticava poco la lettura e l’uso dell’italiano, si è esaurita. Resistono pochissime isole, come Quark o Report, qualcuna anche in reti private, come Striscia la notizia. Così la scuola è restata l’unica fonte di formazione intellettuale, ma lavora da sola e solo per le giovani generazioni che, uscendo di scuola, si sono trovate e si trovano immesse in una società povera di stimoli e sollecitazioni culturali. La “dealfabetizzazione” di grandi percentuali di adulti, che pure in età giovanissima avevano conquistato e conquistano buoni livelli scolastici, è conseguenza di questo complesso di fatti. Ed è tanto più grave perché nel frattempo sviluppi tecnologici, economici, scientifici nel resto del mondo sono andati avanti e, come da varie parti è stato mostrato, si è enormemente innalzata e continua a crescere la richiesta, il bisogno di competenze alte, sofisticate, largamente diffuse: rispetto a esse gran parte della società italiana è impreparata. Il peggio (a mio avviso) è che i gruppi dirigenti non paiono rendesi conto di tutto ciò.
Continua la fuga silenziosa di cervelli dall’Italia. Milioni di lavoratori più o meno giovani, sicuramente istruiti quanto motivati e meritevoli, ma non messi in grado di fare il proprio lavoro in Italia, che vanno via per cercare meritocrazia, giustizia, dignità… davvero non c’è altra via d’uscita che andarsene?
DE MAURO: La via d’uscita ci sarebbe, ma è assai stretta: dovremmo essere capaci di selezionare gruppi dirigenti che vogliano e che sappiano mettere mano alla costruzione di livelli più alti di vita civile e intellettuale.
Le ultime analisi di cui si è discusso in occasione del Suo seminario presso l’Accademia dei Lincei di Roma, mostrano un’Italia ove l’interesse e l’accesso alla cultura avvengono solo da parte di chi ha già un livello culturale medio-alto, portando così un’ulteriore distanza tra i differenti livelli di conoscenza ed istruzione dei nostri connazionali. Ce ne parla più in dettaglio?
DE MAURO: Come ho ricordato anche ai Lincei, due recenti e successive indagini internazionali sui livelli di competenza delle popolazioni adulte in età di lavoro (16-65 anni) sono state svolte osservando come campioni stratificati di adulte e adulti se la cavano messi dinanzi a questionari di cinque livelli di difficoltà crescente, Gran parte della popolazione italiana (l’89%) si fermata secondo e terzo questionario, sotto la soglia di competenze di lettura, comprensione, calcolo “necessarie a orientarsi nella vita di una società contemporanea”. Nessun paese sviluppato ha livelli così bassi. Con Adolfo Morrone, un valente ricercatore dell’Istat e dell’Ocse, abbiamo seguito un’altra strada, partendo dalla utilizzazione delle indagini multiscopo dell’Istat, e siamo arrivati a conclusioni analoghe, ma anche all’individuazione di fatti più preoccupanti: soltanto la parte di popolazione con livelli più alti si dà da fare in modo significativo per migliorare la propria formazione e le proprie conoscenze. Sarebbe necessario che, come altri paesi europei, anche l’Italia si dotasse di un efficiente sistema pubblico di apprendimento per tutta la vita, di lifelong learning. Ma per arrivare a questo dovremmo smuovere la disattenzione e l’inerzia dei gruppi dirigenti.
Nella miscellanea culturale che caratterizza l’Italia di questi ultimi venti-trenta anni, si può ravvisare un netto e futuro mutamento linguistico e culturale in atto o pensa che questo sia solo un periodo di transizione?
DE MAURO:Certamente sono avvenuti grandi fatti di natura strettamente linguistica. Rispetto agli anni cinquanta e sessanta siamo usciti quasi tutti dalle gabbie dell’uso esclusivo soltanto del nostro dialetto nativo, bene o male sappiamo per il 94% usare l’italiano nel parlare, ma, se si vedono i dati ricordati più su, è un uso dell’italiano non sostenuto da un pari rapporto con la lettura e l’informazione scritta, dunque in larga misura è un italiano “orecchiato” che ci crea difficoltà a assimilare testi scritti o parlati di qualche complessità. Intanto, nel resto d’Europa e dei paesi sviluppati, si diffonde su scala di massa la capacità di usare una o due lingue straniere, da noi, come mostrano le indagini utilizzate con Morrone, solo ristrette élite praticano lingue straniere.
Un noto detto definisce gli italiani, popolo di poeti, artisti, pensatori, santi, navigatori…. Anno 2013 e seguenti…ora di noi si dice e si dirà: “italiani popolo di…”?
DE MAURO: Persone troppo rassegnate e pazienti, persone poco attente ai beni comuni. Difetti antichi che ancora stentiamo a correggere.
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